Sentire il profumo di limone, geranio o eucalipto: studiati i segnali elettrici alla base dell’olfatto umano

 lunedì 3 luglio 2023

Per la prima volta su campioni di epitelio olfattivo umano, un’equipe della SISSA ha misurato l’attività delle cellule che, nel nostro naso, sono coinvolte nella percezione degli odori. Negli esperimenti sono stati testati diversi aromi.

Pubblicata su iScience, la ricerca è un primo importante passo per comprendere il funzionamento di questo senso e le sue alterazioni, come quelle apparse con il COVID-19.

Cosa succede nel nostro naso quando le cellule nervose vengono a contatto con un odore? Come la recente Pandemia di COVID-19 ha dimostrato, il senso dell’olfatto è tanto importante quanto poco conosciuto dal punto di vista medico e scientifico. Ora, per la prima volta, uno studio della SISSA guidato dalla Professoressa Anna Menini è riuscito a misurare i segnali elettrici prodotti dalle cellule dell’epitelio olfattivo umano ottenute mediante biopsia. Questi segnali sono il linguaggio utilizzato dalle cellule del nostro sistema nervoso per comunicare tra loro e, nello specifico, rappresentano il primo e indispensabile passo di una sequenza che, arrivando al cervello, avrà come esito la percezione di un odore.

Nella ricerca, pubblicata sulla rivista “iScience”, sono state indagate anche le differenti risposte a diverse molecole odorose, quali il cineolo ed eugenolo (che producono un odore simile all’eucalipto), il limonene (odore di limone), l’isoamil acetato (usato per conferire agli alimenti odore e sapore di banana) e altri ancora che incontriamo quotidianamente nei cibi e negli ambienti in cui viviamo.

Questo risultato, dicono gli autori, getta le basi per lo studio delle basi fisiologiche dell’olfatto utile ai fini della comprensione delle anomalie funzionali che si sono presentate in molti pazienti colpiti da coronavirus quali l’anosmia (perdita della capacità di percepire odori), la parosmia (la percezione distorta degli odori) o la fantosmia (percezione di un odore per il quale, nell'ambiente circostante, non è presente alcuna molecola) nel breve e nel lungo periodo. 

La ricerca, che è stata condotta in collaborazione con l’Università di Bari Aldo Moro e con l’Università di Trieste e la Clinica Otorinolaringoiatrica di ASUGI - Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina.

 

La via dell’olfatto

“La sua fisiologia è davvero poco conosciuta, eppure l’olfatto è un senso che ci accompagna in ogni istante. Ne abbiamo capito l’importanza quando è improvvisamente finito al centro della nostra attenzione con la pandemia di COVID -19, visto che tra i sintomi dell’infezione da Coronavirus c’era un’alterazione della percezione degli odori che portava i pazienti a lamentare un peggioramento nella loro qualità di vita. Una disfunzione che non ha ancora trovato una spiegazione scientifica” racconta la Professoressa della SISSA Anna Menini. “Fino a oggi, del resto, nessuno aveva misurato in un tessuto umano integro l’attività elettrica delle cellule, neuroni e cellule epiteliali, che compongono l’epitelio olfattivo del nostro naso, dove vengono catturate le molecole odorose. Questo è proprio ciò che abbiamo fatto in questo nuovo studio. In particolare, abbiamo lavorato su biopsie di tessuto prelevato da soggetti umani raccolte dai chirurghi della Clinica Otorinolaringoiatrica ASUGI. Così” spiega la professoressa “siamo riusciti a registrare i segnali su un tessuto prelevato “poco prima” in sala operatoria e, assieme, vedere come questi segnali cambiano in presenza di diverse molecole odorose: uno studio mai fatto prima”.

 

Non solo neuroni: un ruolo inaspettato per le cellule di supporto

“Con questa ricerca abbiamo fatto un passo avanti molto importante nell’indagine del funzionamento dell’epitelio olfattivo” spiega Anna Menini. “Nello stesso studio abbiamo stabilito inoltre che le cosiddette cellule di supporto, quelle che circondano i neuroni olfattivi, hanno un ruolo tutt’altro che passivo. Queste cellule sembrano dare invece un importante contributo alla costruzione del messaggio elettrico che verrà inviato al cervello e che porterà alla percezione dell’odore. Del resto, come scoperto in altre ricerche, sono proprio queste cellule e, non i neuroni, a portare sulla propria superficie il recettore ACE2 a cui si lega il coronavirus, sottolineando così la loro rilevanza in questi processi”.

 

I possibili sviluppi: studiare le anomalie olfattive

I prossimi sviluppi, spiega la Professoressa, comporteranno un approfondimento di quanto già scoperto, allargando il numero di campioni su cui effettuare la ricerca. Ma non è tutto: “Dal punto di vista scientifico, potrebbe essere molto interessante lavorare su campioni di tessuto di pazienti colpiti da alterazione persistente del senso dell’olfatto in seguito all’infezione da coronavirus. Questo ci potrebbe aiutare a comprendere cosa accade dal punto di vista fisiologico e cosa c’è che non funziona. E da qui partire per sviluppare eventuali possibili interventi terapeutici”.

 

La collaborazione con l’Università di Trieste e la Clinica Otorinolaringoiatrica ASUGI

“Come clinici abbiamo fin da inizio pandemia di COVID19 condotto studi che hanno per la prima volta caratterizzato in modo sistematico il nesso tra infezione da coronavirus e perdita del senso dell’olfatto misurandone la prevalenza, la severità e i tassi di recupero e di persistenza a lungo termine” afferma il Prof. Giancarlo Tirelli, docente di Otorinolaringoiatria a UniTS e direttore della Clinica Otorinolaringoiatrica di ASUGI. “Allo stesso tempo abbiamo iniziato a collaborare con il laboratorio di Trasduzione olfattiva della SISSA diretto dalla Professoressa di Fisiologia Anna Menini”, afferma il Prof. Paolo Boscolo Rizzo, docente a UniTS e medico alla Clinica Otorinolaringoiatrica di ASUGI. Conclude il prof. Tirelli: “Questo ci ha portato a estendere il campo di ricerca ai meccanismi elettrofisiologici che stanno alla base della codifica olfattiva e di cui il presente lavoro è il frutto più recente. Siamo felici di questa collaborazione tra Università di Trieste e SISSA, che riteniamo di fondamentale importanza per promuovere l'eccellenza scientifica: insieme, queste istituzioni accademiche possono condividere risorse, competenze e infrastrutture, creando un ambiente collaborativo che può favorire la crescita accademica e professionale di ricercatori e studenti”.